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28 Agosto 2016

A means to an end


C’è questo libro che sto leggendo piano piano:

La copertina del libero Built to Last, Successful habits of visionary companies di Jim collins e Jerry Porras

Lo faccio quando ho la testa libera e spazio mentale per pensare.
Lo leggo un poco e poi lo lascio decantare.

“Built to last” è la sintesi di anni di studio comparativo sulle aziende leader di mercato e i loro diretti competitor storici. Restituisce una fotografia piuttosto chiara degli approcci imprenditoriali che hanno portato i leader a diventare tali. Il titolo originale doveva essere “Building something that is worthy of lasting” (provo a tradurlo con un “Costruire qualcosa che valga la pena duri nel tempo”), trasformato dall’editore Harper Collins in un più diretto, vendibile e paraculo “Built to last” (“Costruito per durare”, mh).

Tempo fa, pensavo che entrare in società e contribuire a costruire un’azienda avrebbe significato semplicemente creare un ecosistema in cui le persone sarebbero state felici e competenti, al lavoro su progetti belli e sfidanti e con la soddisfazione dei nostri Clienti. Nel farlo, avremmo aumentato il nostro benessere economico e mentale, aziendale e individuale.
In un certo senso è ancora così, ma lo è in un modo diverso, perché un esercizio che sto facendo costantemente è quello di distinguere ciò che deve rimanere un mezzo da ciò che dev’essere il fine.

Lavorando sulla nostra identità, uno dei primi percorsi che abbiamo fatto è stato quello di dirci perché stavamo cercando di costruire un’azienda di design. La risposta “per il ritorno economico” è sempre risultata stonata e debole. Se fosse stato per quello, avremmo potuto ottenere risultati migliori facendo altre scelte professionali. Spostando il ritorno economico tra i “means”, che cosa rimane negli “ends”? Per me, un mondo intero.

3 Gennaio 2016

Eredità, patrimonio, cultura VS modelli digitali (inadeguati)


Qualche giorno fa ascoltavo la mia consueta puntata di 2024 e uno dei temi trattati era l’eredità digitale, argomento triste e pesante. La prospettiva principale da cui veniva affrontato riguardava che cosa succede ai “nostri” contenuti digitali quando non ci saremo più. Gli esempi fatti durante la puntata hanno acceso un ricordo molto vivido della mia infanzia.
Scrivo questo post in parte con mio nipote in braccio, preferisco pubblicarlo così invece che tornarci su e rimuginarci ulteriormente.

13 Dicembre 2010

Prodotto vs processo.


In questi giorni, dal post di Alberto, è nato un bel trend su FriendFeed, proseguito anche su Twitter.
Alberto ha invitato a portare il cliente a ragionare sui processi, piuttosto che a vendergli un prodotto. Cristiano non è d’accordo, perché dice che il cliente vuole un prodotto nel 99% dei casi e pensa che questa affermazione sia puro realismo. A me sembra che Twitter in questi casi non aiuti, perché fa sparare cifre un po’ a caso, un po’ troppo assolutiste. E comunque la provocazione di Cristiano mi sembra più fatalista che realista. Se così fosse, dovrei alzare le mani e arrendermi ogni volta che il cliente chiede qualsiasi cosa.

Categorie:  lavoro

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