C’è questo libro che sto leggendo piano piano:
Lo faccio quando ho la testa libera e spazio mentale per pensare.
Lo leggo un poco e poi lo lascio decantare.
“Built to last” è la sintesi di anni di studio comparativo sulle aziende leader di mercato e i loro diretti competitor storici. Restituisce una fotografia piuttosto chiara degli approcci imprenditoriali che hanno portato i leader a diventare tali. Il titolo originale doveva essere “Building something that is worthy of lasting” (provo a tradurlo con un “Costruire qualcosa che valga la pena duri nel tempo”), trasformato dall’editore Harper Collins in un più diretto, vendibile e paraculo “Built to last” (“Costruito per durare”, mh).
Tempo fa, pensavo che entrare in società e contribuire a costruire un’azienda avrebbe significato semplicemente creare un ecosistema in cui le persone sarebbero state felici e competenti, al lavoro su progetti belli e sfidanti e con la soddisfazione dei nostri Clienti. Nel farlo, avremmo aumentato il nostro benessere economico e mentale, aziendale e individuale.
In un certo senso è ancora così, ma lo è in un modo diverso, perché un esercizio che sto facendo costantemente è quello di distinguere ciò che deve rimanere un mezzo da ciò che dev’essere il fine.
Lavorando sulla nostra identità, uno dei primi percorsi che abbiamo fatto è stato quello di dirci perché stavamo cercando di costruire un’azienda di design. La risposta “per il ritorno economico” è sempre risultata stonata e debole. Se fosse stato per quello, avremmo potuto ottenere risultati migliori facendo altre scelte professionali. Spostando il ritorno economico tra i “means”, che cosa rimane negli “ends”? Per me, un mondo intero.