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17 Febbraio 2019

Dottori e bio-ingegneri, per favore progettate il nostro sensore e la sua app non solo per le sue funzioni ma anche per come viviamo


Nel mio primissimo giorno con il microsensore, l’ingegnere bio-medico che mi spiegò come utilizzarlo mi aveva chiesto se volessi essere contattata dal team di ricerca Medtronic per raccogliere il mio feedback. Acconsentii convintamente e un paio di settimane dopo ricevetti una telefonata da “Numero sconosciuto”. Di solito non rispondo a questo tipo di chiamate e così feci quel giorno, perdendo la possibilità di parlare con loro.
La settimana scorsa, ricevo una nuova telefonata e questa volta rispondo. È Medtronic e pianifichiamo una telefonata per il giorno dopo. Riaggancio sperando che presteranno attenzione alla mia storia e all’esperienza che sto vivendo.
Lo fanno. Ma anche no.

Dal loro punto di vista, sono sicura che stiano pensando di star facendo molto bene il loro lavoro e in un certo senso è così davvero. Dal mio, mi sono sentita disarmata e mi sono vista rimbalzare contro un muro di gomma molto gentile.

“Buongiorno Ilaria, [introduzione e bla bla bla]. Ora parleremo della tua esperienza con il sensore. Alla fine ti farò qualche domanda per il nostro sondaggio. Ok?”

“Sì, certo.”

“Allora, come sta andando con Sensor 3?”

Un’intervista. E un cortocircuito.

Inizio a raccontare ciò che ho scritto nel mio post precedente e gli comunico i link. Gli dico che in qualche modo io e il sensore stiamo cercando di diventare buoni amici, ma che la parte peggiore è che il sensore è così antiestetico che mi sembra di essere una paziente per 24 ore al giorno.

“È solo un periodo, ti ci abituerai.”

“Ok, lo so che lo farò, ma non è questo il punto. Sto dicendo che è molto brutto e che mi sento imbarazzata, specialmente quando ce l’ho sulla spalla e devo andare per esempio in palestra. Se mi sento così ora, come sarà quest’estate?”

“Oh sì, capisco. Sai, è andata così anche per gli occhiali. All’inizio le persone non erano contente di indossarli.”

Aspetta… cosa? No, no, no.

“Magari fosse così. Indossare gli occhiali era terribile finché non li hanno riprogettati e ora sono un oggetto di moda.”

“…” Pausa. “Ok, capisco.” Pausa. “Comunque ti sta aiutando a monitorare le tue iper e ipoglicemie?”

“Sì, migliora di giorno in giorno, anche se nel primo e ultimo giorno dei 6 che dura, il sensore è meno preciso. Dal secondo al quinto praticamente non sbaglia un colpo.”

“Sì, succede perché ogni volta che cambi il sensore, si resetta e devi ricalibrare tutto daccapo. Bla bla bla.”

Parliamo un po’ di questo, ma mi colpisce davvero che i problemi che mi danno i cerotti e l’aspetto di tutto il bagaglino siano fuori dal perimetro della nostra conversazione. Stiamo davvero già parlando d’altro? Davvero pensa che indossando un oggetto del genere ci si senta come se si indossasse un paio di occhiali?

“Posso farti una domanda io?”, gli chiedo.

“Certo.”

“Come funziona questa cosa con un bambino diabetico? Intendo dire: se funziona tutto con bluetooth, io ho un cellulare… ma un bambino?”

“Funziona allo stesso modo. Il bambino collega il sensore al suo device, nel suo caso sarà probabilmente un iPod. I suoi genitori e le maestre a scuola sono i care partners, possono seguire la situazione e ricevere sms in caso di eventi.” Il sito funziona, gli sms anche, ma sembra tutto sviluppato con tecnologie e framework desueti.

Mi sembra di capire che quando si parla di tecnologia salva-vita, per questo tipo di aziende per “standard di qualità” si intende “standard di funzionalità”.
Medtronic produce oggetti che persone come me devono indossare ogni singolo giorno, che siano belli come un Apple Watch (prezzo minimo: 469 €), un Fitbit (circa 80 €) o un Misfit (circa 80 €) sembra essere irrilevante.
Forse sbaglio a pensare che stiano sottovalutando questo aspetto del prodotto. Potrebbe forse essere che non capiscano quanto sia importante.

È come se non avessero mai visto persone vere, nella loro vita quotidiana, mentre fanno cose ordinarie con questo oggetto incerottato sulla spalla o sulla pancia e mentre fanno finta di non sentirsi osservati e giudicati malati invece che geek o alla moda.
Oppure, se ci hanno visto, è esattamente così che vogliono vederci. Quindi dove sta il problema?
Ma lo è. Ed è pure grande.

Tra le decine di pregiudizi (bias) individuati dalla neuroscienza, questo assomiglia molto a quello dello Sperimentatore o dell’Aspettativa (ma forse ce ne sono alcuni altri coinvolti qui).
Questo è anche il motivo per cui sondaggi e ricerca quantitativa sono solo parzialmente utili quando non sono preceduti da una fase di osservazione e di intervista diretta. Le risposte sono condizionate dalle domande stesse e così si perde l’opportunità di guardare ai prodotti che creiamo con sguardo davvero neutrale.

Mi viene in mente “The racist glasses”, 1 minuto di video di grande efficacia:

Immagina il personaggio principale (il ragazzo messicano) parlare normalmente con una donna qualunque come me, finché non indossa i suoi “occhiali da dottore”… capito che succede?

Nel mio post precedente, scrivevo che non importa di quale colore sia la tua pelle: il sensore sarà sempre molto ben visibile. Se lo avesse progettato Rihanna, sarebbe stata molto attenta a proporlo in varie tonalità adatte al tipo di pelle.

Purtroppo non riesco a manipolare la foto originale meglio di così, spero che i miei colleghi non la vedano :P ma questo è ciò che intendevo dire quando scrivevo che il sensore avrebbe potuto essere più inclusivo dal punto di vista estetico – è un modo di concepire l’oggetto immaginandolo nei suoi reali contesti d’uso.
Si possono percorrere strade completamente diverse da questa, per esempio gli si potrebbe dare un aspetto sportivo o elegante, appunto come un Apple Watch o un Misfit. Per i bambini, potrebbe essere un po’ più personale e grazioso, dandogli per esempio l’aspetto di una tartarughina o di una coccinella (sono solo esempi molto semplici).

Ritorno un attimo alla telefonata.
Abbiamo continuato a parlare un po’, in modalità domanda – risposta – voto sul sensore (“Per favore, dividi il mio voto a metà: 2 per la parte estetica e 8 per le funzioni”, ma non sono sicura lo abbia fatto davvero o quantomeno che il modulo che ha davanti gli consenta questo tipo di libertà), cambiare il sensore (“8”), utilizzo dell’app (“4”), utilizzo del sito per i care partners (“Non posso dare un voto, non sono sicura neanche di averla usata.”, ma qualche minuto dopo, finita la call, mi ricordo della piattaforma Carelink e penso “Accidenti, se si riferiva a quella, avrei voluto dargli un 2.”) e così via.
Dopo circa mezz’ora, il ragazzo conclude: “Dato che non hai risposto alle nostre chiamate precedenti, questa è l’unica che avremo. Se hai bisogno di assistenza, puoi chiamare il nostro numero XYZ, ok? Grazie mille davvero.”

Ah. Addio.

Iper, ipo e notifiche martellanti

Se potessi cambiare una sola cosa dell’app, cambierei le notifiche, la loro frequenza e le loro impostazioni. Non so neanche da dove iniziare per spiegare perché.
C’è un aspetto situazionale e uno ergonomico.
Per “situazionale” intendo due cose: come mi sento quando sono in iper o in ipoglicemia e dove sono/cosa sto facendo.

[Attenzione: ciò che scrivo in particolare da qui in avanti è frutto della mia personalissima esperienza col diabete nella mia vita quotidiana. Non progetterei mai un oggetto, un sistema o un’app basandomi solo su come funziona per me. Sarebbe l’errore più grave e grossolano che potrei fare come designer. Le ipotesi che esploro qui renderebbero l’app forse perfetta per me oggi, ma probablmente molto sbagliata per qualcun altro oppure sbagliata persino per me tra qualche settimana o mese.]

L’iperglicemia di solito mi arriva dopo aver mangiato qualcosa e aver calcolato male l’insulina necessaria. Il livello di glucosio nel sangue aumenta fino a superare i 200 mg/dL. Posso sbagliare i calcoli per le ragioni più disparate: sbaglio a valutare i grammi di carboidrati che ci sono nel mio pasto, penso di fare attività fisica e invece la salto, sono in un periodo stressante, ecc. Per abbassare il glucosio posso somministrarmi un’ulteriore dose di insulina, ma queste correzioni sono un po’ critiche perciò, per farla breve, è meglio essere bravi a fare i calcoli che a correggere. Per abbassare la glicemia può volerci anche mezz’ora se non di più, dipende da come lo fai (insulina, attività fisica, entrambe…)

Quando sta per arrivare un’iperglicemia, me lo sento. I miei sintomi sono affaticamento, viso stressato (più del solito :P) e occhiaie, peggioramento della vista, cerchio alla testa e un senso di ingiustificata apprensione. In questo stato mentale, devo decidere che cosa fare (insulina extra o no?).
Grazie al sensore, ricevo notifiche che mi predicono l’aumento di glucosio e così posso prendere le mie misure per tempo. Devo dire che con le iperglicemie sono ancora piuttosto indecisa sulle misure da prendere, perché la curva può aumentare e poi diminuire nel giro di mezz’ora o a volte di ore.

Le ipoglicemie sono l’evento più pericoloso per un diabetico e possono capitare per le stesse ragioni che ho descritto prima (calcoli errati, attività fisica ecc..). I miei sintomi sono: testa che rimbomba perché il volume di tutto mi sembra più alto, mani che tremano, sudore, ansia e confusione, sensazione di svenire e altre cose del genere. Per fortuna, le misure da adottare nei confronti di un’ipoglicemia mi risultano più facili da prendere e risolvo la situazione nel giro di 15 minuti.

Dato che le ipo sono più pericolose, nell’app c’è una notifica speciale per le ipo sotto i 55 mg/dL. Arriva più spesso delle altre (mi sembra ogni 2 minuti), sovrascrive tutte le impostazioni dell’app o del telefono ed esce con un suono molto alto. Fa così:

Dunque, forse avrete già capito quale sia il problema.
Una notifica parte quando l’app rileva un determinato evento (trigger) e arriva secondo le impostazioni che l’utente ha scelto. In Guardian Connect, ogni 5 minuti l’app controlla il livello di glucosio e, se esce dai livelli che hai impostato, te lo notifica. Ma il tempo che serve per cambiare le curve di glucosio che scatenano quelle notifiche dura qualche decina di minuti se non un’ora o due, perciò quello che succede è che, anche se hai capito benissimo che c’è un problema, ogni 5 minuti la notifica continua ad arrivare. E, sotto i 55 mg/dL, arriva più spesso e non c’è alcun modo di spegnerla.

Anche se mi sento in apprensione o confusa, so che devo prendere le mie misure e lo faccio, eppure la notifica continua a martellare. Questo non mi aiuta. Basterebbe un bel pulsante primario come quello di una sveglia, implementarlo non mi sembra costi molto… ma quel pulsante non c’è. Per silenziare, devo tappare l’hamburger menu (posizionato in alto a sinistra dello schermo, quindi in posizione irraggiungibile con una mano sola usando il mio pollice destro), tappare su Impostazione Avvisi > Silenzia oppure Audio (“Silenzia” non ho ancora capito come funzioni, tra l’altro) e poi fare altri 2 tap per spegnere gli avvisi. Questo sì che è molto irritante e per nulla ergonomico.

A sinistra com’è oggi, a destra come lo vorrei.

Un altro dettaglio da notare riguardo questo tipo di notifiche è il messaggio che contengono.
Ogni avviso mi suggerisce di confermare il valore glicemico misurandolo con il mio vecchio glucometro, ma questo invito non solo è sbagliato, contribuisce anche ad aumentare il mio senso di confusione o apprensione durante una iper o una ipoglicemia. Ho imparato a ignorarli, ma durante le prime due settimane con il sensore, sono stati questi messaggi a indurmi a credere che stessi sbagliando qualcosa.

Le cose cambiano parecchio in base a dove sono.

Ancora una cosa riguardo il problema situazionale.
Essere a casa è ben diverso dall’essere in ufficio coi colleghi o in palestra.

L’esempio più facile posso farlo descrivendo che succede in palestra: mentre faccio i miei esercizi (soprattutto quelli cardio brucia-zuccheri) il glucosio nel sangue tende a scendere e adesso, grazie al sensore, posso vedere bene i miei trend anche mentre mi alleno. Durante questo primo mese, ho visto che in palestra preferisco avere l’app sempre sott’occhio, quindi disattivo il blocco automatico dello schermo di iPhone e lascio l’app sempre aperta, tenendo il telefono un po’ fuori dalla busta in cui tengo fazzoletti e zucchero, così posso buttarci un occhio e vedere come va.

Per impostare l’app in modo che rimanga in questo stato, devo cambiare le impostazioni dello schermo di iPhone (3 tap), rientrare nell’app e cambiare gli avvisi (3 tap).
Tutto questo potrebbe essere molto più semplice se esistessero delle scorciatoie nell’app. Così come esistono quelle che mi permettono rapidamente di inserire carboidrati, insulina, attività, glicemia e note (premendo sul + in basso a destra), allo stesso modo basterebbe un pulsante simile in basso a sinistra, in cui scegliere velocemente i miei stati (tieni acceso e silenzia, silenzia, ecc…). Questi stati potrebbero anche impostarsi da soli in base alla mia posizione: per esempio, appena entro in palestra l’app si potrebbe impostare su “tieni accesa e silenzia”.

Qui un mockup molto grezzo di quello che intendo: il pulsante bianco in basso a sinistra non esiste ed è quello che vorrei per attivare rapidamente i miei stati preferiti.

Post scriptum

Non ho ancora trovato il coraggio di leggere le recensioni all’app nell’App Store.

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4 Commenti
  • Grazie per questo post, finalmente ho trovato qualcuno che capisce quello che vivo e lo dice pure meglio!!! (anche se il sensore è diverso, e c’è anche il microinfusore); il diabete con il sensore è migliorato, la qualità della vita è andata sottozero.

  • Ciao Ilaria, grazie per leggermi e grazie per questo commento. Teniamo duro e continuiamo a farci sentire, la tecnologia ha bisogno di noi esseri umani. Ti abbraccio forte!

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