Venerdì 18 gennaio è diventato un giorno speciale per me. Forse lo ricorderò anche come il giorno in cui ho perso cavo e caricatore del Mac (80 € di roba, accidenti) da qualche parte a Ravenna, o in cui ho dimenticato il mio pigiama nel B&B in cui ho dormito quella notte.
So perché sono stata così distratta quel giorno.
Per puro caso, è quasi esattamente il giorno in cui 9 anni prima mi avevano diagnosticato il diabete di tipo 1. Era gennaio 2010, avevo 35 anni e avevo appena iniziato a fare i conti con glucometri, penne di insulina, aghi, iper e ipoglicemie. Ma avevo anche smesso di soffrire di terribili crampi, smesso di vedere la mia vista peggiorare, di perdere peso senza motivo, di sentirmi stanchissima ecc. ecc.
Non dimenticherò mai il Primario Dott. Boemi e le infermiere che quel giorno di nove anni fa mi diedero questa brutta notizia. Il Dottor Boemi è stato una guida per me, un po’ come Virgilio con Dante. È mancato circa un anno fa e la sua assenza l’ho sentita come qualcosa di molto strano. Se non ho preso così male la notizia, è in parte dovuto anche a ciò che il Dott. Boemi ha cercato di comunicarmi fin dal primo giorno.
“Ok Ilaria, hai il diabete di tipo 1, sei insulino-dipendente.”
Non avevo la minima idea di che cosa diavolo mi stesse dicendo e che cosa avrebbe significato per me. Lui, invece, era perfettamente consapevole che le sue parole mi avrebbero cambiato la vita per sempre, non mi conosceva ma sapeva benissimo che si può reagire in tanti modi diversi. Mentre mi parlava, mi studiava e cercava di immaginarsi come mi sarei comportata da quel momento in avanti.
“È una cosa seria. Se non segui le nostre istruzioni, incorrerai in gravi problemi fisici o potresti addirittura morire. Il diabete non è come 10 anni fa, le medicine e le cure sono migliorate molto… però per quanto ne sappiamo oggi sono obbligato a dirti che molto probabilmente tu avrai questa malattia per tutta la vita. La scienza sta facendo progressi da gigante, quindi chi può dirlo? Nel frattempo, fai quello che ti diciamo e ricordati: noi siamo qui per aiutarti, ma da ora in avanti questa malattia è tutta tua, sarà come un compagno di viaggio. Dipende tutto da te ma, soprattutto, tu non sei il tuo diabete.”
Queste parole mi risuonano tutt’oggi molto profondamente. È che le cose sono così in generale, non solo quando hai a che fare con una malattia seria e permanente. Dal 2010, ho iniziato a cambiare comportamento su una serie di cose, è stato come se il diabete mi avesse acceso cuore e testa, aiutandomi a trovare il coraggio di affrontare alcune situazioni che avevo abbandonato lì o che pensavo sarebbero state fuori dalla mia portata.
Sì, le cose sono cambiate un po’ da allora.
Dopo la morte del Dottor Boemi, le cose sono cambiate anche nell’eccellente Centro Antidiabete della Regione Marche (INRCA). Noi italiani siamo abituati a lamentarci della Sanità Pubblica, ma in qualche modo io godo di un punto di vista privilegiato. Come power-user del Servizio Sanitario Nazionale, mi sento sempre grata di essere nata in Italia. Dopo un paio d’anni che usavo i miei farmaci e strumenti salva-vita, ho iniziato a chiedere a dottori e farmacisti quanto mi sarebbero costati se avessi dovuto pagarmeli io.
Non ho quasi mai speso un centesimo per i materiali, ma ovviamente non sono gratuiti: se finora non ho pagato nulla, lo devo al Servizio Sanitario della Regione Marche e a tutte le persone che pagano le tasse, come me e, mi auguro, tutti quelli che stanno leggendo questo post adesso. Il diabete mi ha fatto rendere conto in modo molto chiaro che le tasse sono uno strumento di coesione sociale, non un furto da parte dello Stato.
Se dovessi pagarmi i farmaci da sola, questi sarebbero i costi minimi che dovrei sostenere:
Totale approssimativo:
Se unisco questi conti della serva con le statistiche nazionali sul diabete ottengo un quadro certamente impreciso ma che mi aiuta ad avere un ordine di grandezza sull’impatto che il solo diabete di tipo 1 ha in termini sociali ed economici:
A questi potrei aggiungere molti altri costi, come quelli dei 4 day-hospital trimestrali, ma sono certa che già questi numeri bastino per chiarire il punto: malattie come questa costano veramente un botto alla Sanità Pubblica. Più aumentano i numeri, più alta la probabilità che alcune spese vengano spostate sui pazienti, perché insostenibili per il sistema. Questi conti credo siano anche il motivo per cui questi aspetti della Sanità Pubblica vengano gestiti dalle singole Regioni. In Sardegna, per esempio, al momento c’è il più alto numero di diabetici d’Europa (1 persona su 4) ed è l’unica Regione in cui il numero di diabetici di tipo 1 supera quelli di tipo 2.
Per farla breve, mi è molto chiaro che non posso comportarmi come se tutta l’assistenza e i materiali che ho ricevuto finora fossero dovuti e ovvi. Manco per sogno.
So che può suonare un po’ strano, ma questi conti sono delle leve per me. Curioso eh? Mi motivano a prendermi cura di me, perché la mia malattia è un calcio nel sedere non solo per me ma anche per la società in cui vivo.
So di essere fortunata per aver tenuto botta e aver preso le cose in questo modo. Capisco profondamente le reazioni di persone che invece l’hanno presa molto male e si sono disperate, o sono cadute in depressione. Posso immaginare che cosa provino figli di genitori anziani e malati di diabete, mentre cercano di prendersene cura.
So che ci sono persone che vanno fuori di testa durante un’ipoglicemia. Come posso giudicarle?
Non riesco invece a immaginare come possono sentirsi i genitori di un figlio o una figlia diabetico/a, mentre lottano per tenere la situazione tranquilla, sicura e serena. E questo è esattamente il motivo per cui, qualche anno fa, la Fondazione Italiana Diabete Onlus ha commesso un grave errore uscendo con una campagna 5×1000 scioccante, con l’obiettivo di sensibilizzare i potenziali donatori al diabete infantile. Un messaggio che non riesco a dimenticare:
Lo riguardo e non posso che associarlo a quest’altro indimenticabile spot degli anni ’80, che aveva l’obiettivo di sensibilizzare sui pericoli dell’AIDS, allora quasi sconosciuto:
Questo tipo di rappresentazioni crea mostri.
Forse sto divagando… ma non proprio. La visualizzazione di una malattia è un qualcosa di piuttosto spinoso, spero di scriverne un po’ di più a breve.
Per quanto riguarda me, ho la fortuna di essere molto autonoma e in larga parte lo devo al mio Virgilio. Finora, non ho mai avuto guai davvero gravi durante un’ipoglicemia, ma questo non lo devo a lui – credo sia più il culo di avere una robusta costituzione. E quindi non posso aspettarmi che sarà così per sempre.
All’inizio di questo post, ho scritto che sapevo perché lo scorso venerdì avevo la testa tra le nuvole.
Dopo un paio di controlli ordinari, un anno fa la nuova dottoressa che mi ha preso in cura al Centro Antidiabete mi suggerì di passare al microsensore e che, anzi, forse era anche ora di un microinfusore, perché la mia glicata era eccellente come al solito (6.1), ma era il risultato di media dato da una serie di picchi alti o bassi – e questo non andava bene per una serie di ragioni che ci ho messo un po’ ad accettare.
Mi dissi contraria al microinfusore, perché per me rappresentava un salto quantico, e ho lasciato decantare per circa un anno l’idea di provare il microsensore.
Ero combattuta perché va applicato sottopelle, è visibile (ma molto meno di un infusore) e monitora la glicemia ogni 5 minuti mostrandomi i trend su un grafico. Il tutto senza pungermi le dita con le lancette.
Mi avrebbe aiutato a evitare iper o ipoglicemie?
Il mio compagno di viaggio avrebbe iniziato a chiedermi più attenzioni di prima? Ero pronta?
Mi ci erano voluti mesi per imparare a dosare l’insulina, a usare aghi, lancette e strisce… questo microsensore avrebbe cambiato le cose che stavo facendo da anni con buona serenità?
Il microsensore comunica attraverso un’app per iOS, un touchpoint cruciale. C’è anche per Android ma solo per alcuni modelli di Samsung :( . Beh, è stato questo a convincermi e dargli una chance: ero troppo curiosa di sapere come avrebbe funzionato per me e come avrei iniziato a interagire con il mio smartphone. il watch e le notifiche push.
Ho iniziato a leggere alcune recensioni, come faccio sempre, ma ho smesso subito. Panico.
Venerdì 18 gennaio è stato il mio primo giorno con questo ciaffo attaccato alla pancia, prodotto dall’americana Medtronic, leader mondiale nel campo delle tecnologie biomediche.
Per questi primi giorni, le cose non sono state così facili. Uso questo oggetto in modo bipolare: da un lato c’è l’uso personale, dall’altro quello da designer. Sto scrivendo nero su bianco quello che succede, momenti, eventi, emozioni. Mi impegno a pubblicare almeno un paio di post in tempi brevi, finché ho tutto molto fresco.
Con questo, ho messo giù qualche premessa per dare un minimo di idea sull’argomento, spero che chi mi sta leggendo non lo conosca (se lo conosci, forse tu o qualcuno vicino a te ha il diabete – quindi lascia che ti abbracci).
Sono certa che qualunque ricercatore o designer saprebbe quali parole o frasi sottolineare in questa specie di diario, che cosa mappare in una journey anche grezza e che cosa evidenziare, prima di iniziare a progettare un microsensore e la sua interfaccia.
In un certo senso, è quello che ho iniziato a fare da venerdì.
Dopo le prime 48 ore con il microsensore, mi sento un po’ più diabetica di prima